Capita di operare su strumenti finanziari che siano denominati tramite una valuta differente, rispetto a quella depositata sul nostro Broker Account (o della fonte sulla quale sia presente il nostro capitale), che logicamente e da un punto di vista matematico rappresenterà il nostro conto nella valuta da noi scelta. E’ necessario effettuare una conversione del rischio prima di operare, volendo essere fedeli ad i nostri criteri.
Un primo scenario ove tale pratica sarebbe necessaria, potremmo identificarlo mediante un esempio che si costruisce sul mercato interbancario (ossia il Forex), dove sono presenti strumenti (derivati o meno) che prendono in esame una coppia di valute (cross pair): questi asset si presentano come rapporti tra le due valute (xxx/yyy, dove xxx=valuta x ed yyy=valuta y) e la loro quotazione rappresenta il numero di unità di yyy necessarie a soddisfare 1 unità di xxx. Per racchiudere il concetto in un esempio pratico ed esplicativo, usufruiamo della coppia euro-dollaro (EUR/USD) per esprimerlo. Sostanzialmente, nel momento in cui EUR/USD quoterà 1.20, vorrà dire che la seguente equivalenza sarà vera: 1 EUR = 1.20 USD, ovvero, per avere 1 euro ci serviranno 1.20 dollari. Per conoscere la valuta utilizzata come criterio denominativo, in una qualunque coppia valutaria, basterà prendere in esame quella al denominatore: questo ragionamento vale anche per i contratti fini alla negoziazione di queste coppie valutarie. Nel mercato del Forex, generalmente, 1 contratto (che viene chiamato “lotto”), equivale a 100.000 della valuta denominatrice, ovvero, sempre nel caso EUR/USD, acquistare 1 lotto significa pagarlo 100.000$, 2 lotti saranno 200.000$, mezzo lotto saranno 50.000$, e così via. Ora, per tornare a quanto sia importante convertire il rischio, il punto dal quale sono partito, mi farò forte di un altro esempio: supponiamo di aver depositato 10.000Є, e di voler mettere a rischio il 2% di questo capitale di riferimento ad operazione, ovvero 200Є(R). Nel momento in cui andremmo ad operare su coppie valutarie denominate in una valuta che differisca dall’euro, dovremmo mettere in pratica una conversione, affinché il nostro criterio di rischio in termini percentuali venga rispettato egregiamente. Di conseguenza, assumendo l’operazione volessimo effettuarla su EUR/USD, ed ipotizzando un tasso di cambio sempre uguale ad 1.20, dovremmo moltiplicare R per quest’ultimo, ottenendo 240$: sarà il nostro nuovo R, che adopereremo in calcoli successivi, fini a determinare la “position size” (che sarebbe il numero di contratti relativo all’operazione che apriremo) del trade in questione. In soldoni, se non applicassimo questa conversione, ed utilizzassimo l’R iniziale per il calcolo ultimo della “position size”, questa sarebbe risultata in un numero di contratti proporzionalmente inferiore rispetto a quelli necessari a rappresentare un 2% di rischio del nostro capitale> In questo caso specifico, date le variabili da me elencate, utilizzando 200 come R nel calcolo finale della “position size”, avremmo rischiato l’1.6% anziché il 2 come avremmo voluto. Questa differenza percentuale, ove esistesse, tra il rischio effettivo ed il rischio desiderato, viene chiamata “under-risking” (rischiare meno) se negativa ed “over-risking” (rischiare di più) se positiva: se nulla, potremmo attribuire all’operazione la caratteristica di “optimal risking” (rischio ottimale). Credo sia essenziale convertire il rischio secondo questi principi, o potremmo ritrovarci in situazioni, dove potremmo essere in over-risking del doppio o triplo, rispetto quanto avremmo voluto rischiare, e viceversa. Un esempio calzante, potrebbe prendere in esame una coppia di crypto dove, se non convertissimo adeguatamente il nostro rischio, ci ritroveremmo in una position size probabilmente non adeguata al nostro profilo.
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