Il mercato del caffè, secondo dopo il petrolio per dimensione, presenta delle peculiarità che lo rendono poco dipendente dalla domanda ma molto da tutto ciò che accade a monte: dal grossista che consegna ai bar fino alle famiglie di coltivatori sparse in sud America (soprattutto), Asia occidentale e Africa.
Un mercato che, particolarmente negli ultimi 15 anni, ha visto una contrazione della catena del valore dove si osserva l’irrequietezza di grossisti, torrefattori e traders, preoccupati di difendere ed accrescere la propria fetta di valore in un contesto di mosse e contromosse che hanno reso gommoso il perimetro delle storiche competenze e della contesa.
Se da un lato si osserva un sostanzialmente prevedibile comportamento della domanda finale, dal lato dell’offerta al movimentato atteggiamento degli operatori professionali fa da contraltare la costante presenza dei produttori osservatori passivi e senza potere contrattuale: circa l’80% della produzione è assicurata da oltre 25 milioni di famiglie per lo più vulnerabili.
La complessa e delicata attività di produzione rende ogni stagione produttiva avvolta in un alone di incertezza. Le piantagioni necessitano di opportune condizioni ambientali (ad esempio altitudine) e climatiche (piogge ed umidità) affinché rendano in modo adeguato.
Nel mondo della produzione in genere incertezza significa costi. Costi che si scaricano sostanzialmente sui produttori organizzati in gran parte in strutture fragili e costrette a confrontare la propria struttura dei costi con ricavi bassi ed umorali.
Questo contesto fa si che sul mercato sia molto affollata quell’area che in micro-economia si chiama area delle imprese marginali, cioè fatta da aziende che operano costantemente sul filo della sopravvivenza per il fatto che, data la loro struttura dei costi, avrebbero bisogno di un livello di prezzo del prodotto strutturalmente più elevato per stare nel mercato più tranquillamente.
Conseguenza di ciò è che eventi particolarmente avversi, sul lato dei prezzi o della produzione, molto spesso le spazzano via.
Inoltre la produzione si mostra sostanzialmente inelastica rispetto al prezzo. Infatti un aumento dei prezzi sul mercato dovrebbe, come avviene nel mercato del greggio ad esempio, indurre i produttori ad aumentare gli investimenti e la produzione con attenzione all’efficienza del processo industriale per non peggiorare la struttura complessiva dei costi come conseguenza del possibile aumento di quelli fissi (impianti produttivi, personale, …).
Si pensi che una nuova pianta di caffè comincia a produrre dopo circa 3/4 anni e raggiunge la massima produttività, che conserva per pochi anni, intorno ai 15 anni. Un tempo di 3 o 4 anni in un tale mercato è orizzonte temporale siderale per imprese piccole e fragili come quelle descritte: può succedere che quando la pianta è pronta a produrre, non ci sia più l’impresa che l’ha messa a dimora!
Quel che di solito avviene è che un aumento dei prezzi si spalma nella parte della catena del valore dove non troviamo i produttori (a cui storicamente non va oltre il 3-5 percento del prezzo finale). Tutto ciò mortifica “gli spiriti animali” keynesiani dei piccoli imprenditori i quali per migliorare i loro margini sono costretti ad agire unicamente sull’efficienza per cui non è raro che siano costretti a spostare le produzioni in modo opportunistico per cercare di migliorare il loro margine operativo.
Lo scenario con cui gli operatori si confrontano oggi è da un lato il progressivo aumento delle temperature medie del pianeta che influenzano direttamente le delicate condizioni ambientali che assicurano la produzione. La conseguenza è una riduzione della produzione, soprattutto della più diffusa e più delicata qualità arabica, dovuta alla diffusione di parassiti, siccità e spostamenti delle colture progressivamente verso terreni più collinari ed impegnativi. Tutto ciò significa maggiori costi.
D’altro canto il marketing e le nuove tendenze indotte dai nuovi stili di vita assicurano una buona pressione della domanda. Il tutto si traduce in un costante spostamento dei consumi dalla moka alle capsule (oggi ormai rappresentano il 30% circa del mercato) le quali assicurano margini molto allettanti.
I prezzi oggi si presentano così
Osservando il grafico mensile si legge un movimento al ribasso che ha condotto i prezzi fin sul supporto degli 86 dollari circa, un calo del 70% in 9 anni.
Guardando il settimanale, si può apprezzare quello che sembra un movimento di accumulazione
i prezzi che hanno mantenuto gli 86 dollari e prodotto un interessante break out del movimento di cui si diceva. La violazione è stata registrata anche dal RSI14 che mostra anche una divergenza rialzista.
Scendendo sul daily, si riesce a mettere a fuoco la parte più recente del supposto movimento di accumulazione che sta avvenendo con un’ordinata sequenza di massimi e minimi crescenti.
Visto quello che sembra il consolidamento del neo-supporto ai 120 dollari, testato ed abbandonato per due volte in settimana, si potrebbe acquistare l’atteso break out dei nuovi massimi relativi a 127,80 con l’auspicio di arrivare ai 136 che staziona al cospetto della sma200 sul mensile (136,25 in crescita). Abbandonare il trade nel caso di violazione al ribasso dei 120 dollari con chiusura giornaliera.
Per chi avesse pazienza operativa e potenza finanziaria sufficiente il movimento risulta interessante nel medio e lungo termine. Infatti ritengo che l’eventuale rottura della sma200 mensile prima e della resistenza statica dei 140 dollari potrebbe innescare un movimento ritenuto minimo perché possa dirsi iniziata una nuova fase rialzista cioè un nuovo massimo relativo superiore al punto 1 nel grafico seguente.
Sposare questo scenario richiederebbe un ben altro stop loss rispetto ai 120 dollari, infatti bisogna tollerare discese fino ai 92,70 del punto 2.
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